Spopolare universi ("oscurità infinita", pt. 1)
Ipotesi sull'estinzione universale e sull'ascesa di un nuovo Cyber-Frank Sinatra
Benvenuti in Mundus, uno spaziotempo ipercompresso dedicato alla metalogia della speculazione, dello storytelling e della scrittura.
La morte corre sul filo
Il pessimismo è ben lungi dall’essere un blocco monolitico in cui a farla da padrona è la disperazione. Più volte, nel corso dei secoli, la complessità e le contraddizioni si sono fatte strada all’interno delle filosofie proto-pessimiste, contribuendo a rendere tale corrente tanto vaga quanto sfaccettata. Nell’antica Grecia, in Asia e nelle religioni orientali e mediorientali si sono sviluppati i semi che, molto più avanti, in epoca moderna, diedero vita alla speculazione metafisica pessimista. L’idea di un universo o di una storia ciclici, suddivisi in fasi (tanto cara a Spengler); l’ipotesi gnostico-zoroastriana di una malevolenza innata di tutto esistente; la futilità e l’impermanenza del pensiero orientale, unite a una sfiducia radicale nei confronti dell’Io e della mente; la necessità sofistica di porre sotto controllo gli istinti umani; il determinismo stoico; la natura ostile di Voltaire: ciascuno di questi fattori ha giocato un ruolo chiave nell’evoluzione del pessimismo da fatto individuale a sistema logico-empirico. Di pessimismo, di fatto (non solo in quanto visione del mondo o attributo peggiorativo), si può parlare solo a partire dal diciannovesimo secolo, con la pubblicazione delle opere di Arthur Schopenhauer. Non a caso, l’eliminazionismo contemporaneo (riportato in auge da Thomas Metzinger e da diversi neuro-filosofi) non fa altro che disseppellire un retaggio antico almeno quanto la civiltà stessa.
Pochi, tuttavia, si sono spinti fino al punto di rinnegare attivamente l’esistenza stessa, propugnando l’estinzione non solo del singolo soggetto ma dell’umanità intera, o persino del nostro universo (e chissà cosa accadrà quanto il pessimismo assorbirà in sé la teoria del multiverso). Il filosofo tedesco Eduard von Hartmann (1842-1906) fu uno di quei pochi. Hartmann fu, per certi versi, un pioniere: come Philipp Mainlander, ebbe l’ardire di riunire in una sola visione metafisica il pensiero di Schopenhauer e quello di Hegel, e, come lui, ideò un’etica interamente dedicata all’annientamento della specie umana.
La differenza tra i due, tuttavia, sta nel fatto che, mentre Mainlander non auspicò ma pronostico direttamente la morte dell’Universo, Hartmann elaborò un’accurata analisi delle modalità e delle strategie più adatte per ottenere l’estinzione universale. Se, da questo punto di vista, la filosofia di Mainlander è più vicina all’atemporalità di Schopenhauer (dopotutto, il tempo non è che parte dell’estetica trascendentale, né può possedere natura concreta), quella di Hartmann risulta più legata alla dimensione storica hegeliana.
Un’altra importante differenza consiste nell’impiego da parte dei due delle più recenti scoperte scientifiche della loro epoca. Mainlander si dedicò completamente alla psicologia e alla fisica – e, in particolar modo, alla termodinamica, dalla quale trasse spiccati elementi deterministici. Hartmann, pur interessandosi alle scienze naturali, impiegò tali conoscenze non solo per fondare empiricamente il proprio sistema filosofico, ma anche per speculare sul futuro della tecnologia. Lo storicismo di Hartmann, in fin dei conti, non è che la dialettica hegeliana applicata al pessimismo di Schopenhauer.
Eduard von Hartmann
Fin dalla prima lettura del Mondo come Volontà e Rappresentazione, Hartmann rimase deluso dalla scarsa ambizione del Saggio di Francoforte. La prospettiva di un’estinzione individuale gli parve fin troppo ristretta dinanzi al dolore e alle sofferenze causate dalla Volontà.
Consideriamo l’ampiezza e la vastità dell’universo: quante altre specie, autocoscienti o meno, potrebbero esistere, sparpagliate qua e là tra galassie vicine o remote? La fascinazione cosmologica non riguarda solo noi ipermoderni sovralimentati a fumetti e storielle sugli UFO; anche gli antichi e, soprattutto, i moderni si sono interessanti all’ipotesi di vita extraterrestre. Hartmann impiegò proprio tale argomento per confutare sia l’esigenza schopenhaueriana dell’estinzione individuale, sia l’argomento mainlanderiano a supporto di un genocidio globale. La domanda è molto semplice: una volta estinta la specie umana, cosa ne sarà di tutte le altre? E se anche ci estinguessimo tutti, dal primo all’ultimo, cosa mai potrebbe impedire che, nel corso di miliardi di miliardi di anni, Homo Sapiens non torni (per un qualche scherzo dell’evoluzione) a rivedere la luce del sole?
La novità introdotta da Hartmann per ovviare a tali problematiche è tra le più interessanti mai ideate. Per espandere a macchia d’olio il progetto estinzionista è necessaria la giusta configurazione tecnoscientifica. In primo luogo, la nostra specie sarà costretta a prendere autocoscienza dell’indesiderabilità dell’esistenza; tale evento non potrà mai e poi mai risolversi di colpo, in una sola volta ma richiederà, altresì, un approccio gradualista. La piena autocoscienza dello Spirito umano, pertanto, giungerà, in modo più plausibile, attraverso la creazione e lo sviluppo di un’infrastruttura in grado di connettere ogni singolo essere umano a livello globale. Telegrafo, radio, telefono, televisione, internet, smartphone e tutto quel che verrà in futuro, rappresentano altrettanti punti chiave lungo il cammino che condurrà lo Spirito a negare una volta per tutte la Volontà.
In secondo luogo, Homo Sapiens necessità di un apparato di epurazione radicale della vita organica. L’obiettivo è “causare la sparizione dell’intero Cosmo”, scrive Hartmann nel terzo volume del suo Filosofia dell’Inconscio; e ancora, poco prima: “[...] annichilire tutta l’attuale volizione del mondo senza lasciare alcun residuo”. Data l’approfondita e correttissima analisi di Hartmann a proposito delle condizioni essenziali allo sviluppo e mantenimento della vita su altri pianeti, se ne potrebbe dedurre che il metodo più semplice, rapido ed efficace per ottenere tale risultato consista nell’alterare – in una di “terramorfing-estremo-inverso” – l’atmosfera di un pianeta, affinché divenga ostile alla vita. O persino nel modificare le caratteristiche gravitazionali di un’intera galassia, facendola accartocciare su se stessa o, all’inverso, disperdendola nel vuoto (a tal proposito si veda l’ormai ben nota “Trilogia dei Tre Corpi” di Liu Cixin).
Ovviamente, Hartmann fu anche lucidamente consapevole del fatto che il notevole avanzamento nei campi della chimica e della biologia avrebbe promosso un drastico incremento della popolazione umana (dal miliardo e poco più dell’epoca agli attuali otto miliardi). A posteriori, anziché offrire un maggior grado di autocoscienza collettiva, il progresso tecnologico nel settore delle comunicazioni sembra aver contribuito a intensificare l’alienazione negativa, rendendoci ancor più schiavi di meccanismi biologici automatici del tipo “ricompensa-gratificazione-ripeti”. Una configurazione psicologica di specie che potrebbe condurre a forme di ingegneria sociale basate sul sovraccarico di popolazione e sulla manipolazione di massa.
Anche il riscaldamento globale è (per forza di cose) sfuggito alle intuizioni futurologiche di Hartmann. Aggiungendo la crisi ecologia all’equazione, appare evidente come Homo Sapiens si stia preparando – pur essendone per lo più inconsapevole – a gettare le basi di una sussistenza di specie al limite della morte.
Tuttavia, grazie alla sua lungimiranza, il progetto futur-pessimista di Hartmann può essere aggiornato ai giorni nostri. Le varie correnti accelerazioniste ci hanno lasciato in eredità l’orizzonte di una nuova, vasta intelligenza inorganica – capace tanto di alleviare le sofferenze umane, quanto di porre un serio rischio esistenziale per la nostra specie. Oggi, l’arduo compito dell’estinzione può essere affidato alle macchine attraverso l’ideazione di un complesso di “ripulitori cosmici”, in grado di assolvere le più svariate mansioni (dalla ricerca e sviluppo alla ricognizione, dalla manutenzione all’eliminazione).
Sono molti, inoltre, gli interrogativi posti dalle nuove ipotesi fisico-cosmologiche e dalla fantascienza contemporanea. Il multiverso, in quanto costrutto scientifico-speculativo, estende la teoria di Hartmann a più di un universo: un numero indefinito di realtà parallele potrebbero richiedere l’intervento di un benevolo distruttore di mondi. Si potrebbe immaginare un’infinità di risacche cosmiche spopolate, dalle quali le macchine ripulitrici sarebbero in grado di agire indisturbate, colpendo e tornando a nascondersi al di là del tempo e dello spazio. Un’esigenza dettata dalla possibilità che gli universi non si limitino a scomparire e basta, ma siano in grado di rigenerarsi ed espandersi da capo.
Nel ventunesimo secolo, dinanzi al pessimismo filosofico si spalanca il prospetto di un’imponente opera di demolizione cosmica senza inizio né fine.
Un iconico Dalek, dalla celebre serie tv Doctor Who
Sinatra coverizza l’universo
Restando sul tema, al di là dei soliti consigli, vorrei porre l’attenzione su uno strano fenomeno che sta spopolando su Youtube. Negli ultimi mesi, i recenti sviluppi della sintesi vocale e musicale per mezzo di intelligenze artificiali hanno permesso agli utenti di sbizzarrirsi sperimentando con l’ucronia. Cosa sarebbe accaduto se Freddie Mercury avesse coverizzato gli Iron Maiden, o Tupac i Queen?
Uno dei primissimi esperimenti in tale campo fu costituito, anni fa, dalla scrittura di un intero album “perduto” dei Nirvana, eseguita da una IA. La qualità dell’album, tra l’altro, non è neppure delle peggiori. Ora, però, stiamo assistendo a qualcosa di totalmente diverso. Se un brano dei Metallica interamente dedicato ai dinosauri (o agli squali, o a qualsiasi altra cosa) non vi dovesse ancora sembrare abbastanza…beh, allora che ne dite di SINATRA COVERIZZA L’UNIVERSO?
Il fatto è questo: a quanto pare, l’intelligenza artificiale è in grado di elaborare una cover pressoché perfetta di qualsiasi brano mai registrato, a condizione che a eseguirla sia Frank Sinatra. Da “Gangsta’s Paradise” a “Master of Puppets” non c’è hit che il nostro Cyber-Sinatra non sia in grado di adattare al suo tipico stile big band. E per di più in modo cool. Molto, molto cool.
C’è qualcosa di incredibilmente ironico – di esilarante, persino – in tutto ciò. Che il futuro più remoto e la novità più assoluta siano incarnati alla perfezione da quanto di più vecchio e reazionario ci sia.
Ma, ora, mettetevi comodi. Le luci si stanno abbassando. I musicisti salgono uno a uno sul palco. Ed eccolo là, lo riesco a vedere da dietro le quinte; sta finendo l’ultima sigaretta prima di fare il suo ingresso teatrale. Lo spettacolo sta per iniziare…
Godetevi la musica e a presto! ;)
P.s.
Ops, quasi dimenticavo. È da un po’ online una mia piccola raccolta di riflessioni e aforismi, Breviario dei miei piccoli mali. Si tratta di un’antologia più o meno disordinata dei materiali preparatori a Ecopessimismo, il mio libro uscito qualche mese fa per Piano B, ma declinata in una versione più intima ed essenziale. Potete trovarlo su Amazon QUI.
Un ologramma di Frank Sinatra creato dalla Techinfex per la Radio City Music Hall