“Liminal” è il titolo di una serie di incontri brevi e senza fronzoli con autrici e autori, editor e case editrici che lavorano per espandere i confini della letteratura di genere e del pensiero critico e speculativo. Scopriremo insieme cosa li tiene svegli di notte (spoiler: non è solo il caffè) e cosa nutre le loro visioni da incubo, i loro sogni a occhi aperti, i vortici di complessità e i vacui abissi (spoiler: è anche il caffè).
Vanni Santoni (1978) è scrittore e saggista, da anni si occupa di divulgazione nel campo della psichedelia, della controcultura psichedelica e dei suoi aspetti terapeutici. Ha pubblicato, tra gli altri, i romanzi Gli interessi in comune (Feltrinelli, 2008; Laterza, 2019), Se fossi fuoco, arderei Firenze (Laterza, 2011), Muro di casse (Laterza, 2015), La stanza profonda (Laterza, 2017, candidato al Premio Strega) e il saggio La scrittura non si insegna (minimum fax, 2020). Per Mondadori è autore del ciclo di Terra ignota (2013-2017), dei Fratelli Michelangelo (2019) e del romanzo mistico La verità su tutto (2022). Scrive sul “Corriere della Sera”.
C) Ciao Vanni, di solito chiedo ai vari intervistati di presentarsi non come autori ma come persone, colti nel mezzo della vita quotidiana e personale. In questa occasione, però, vorrei chiederti di presentarti come attivista e divulgatore sul tema della psichedelia.
VS) Credo che uno scrittore debba presentarsi attraverso la propria bibliografia. Vediamo dunque cosa è ascrivibile al tema. Sicuramente il mio primo romanzo, Gli interessi in comune, uscito per Feltrinelli nel 2008 e poi ripubblicato da Laterza nel 2019, che racconta, tra tante cose, le avventure di un gruppo di amici che, incappati negli psichedelici – tra tante e spesso meno fortunate esplorazioni degli stati non ordinari di coscienza –, prendono atto del loro essere ontologicamente differenti dalle altre sostanze. Varrà forse la pena ricordare l’esergo, una frase di Walter Vogt, poeta svizzero che fu amico di Albert Hofmann ed ebbe con lui un lungo carteggio attorno all’LSD: “Avevamo preso sul serio qualcosa con cui ci è permesso solo giocare, o viceversa?”
C’è poi Muro di casse (Laterza 2015), che parla di free party, ciò che volgarmente vien detto “rave”, ma parla anche di psichedelia, direi inevitabilmente visto che senza la riscoperta degli psichedelici da parte della sottocultura acid house nella seconda metà degli anni ’80, i rave non sarebbero mai esistiti. E senza i rave non si sarebbe probabilmente innescato il cosiddetto “Rinascimento psichedelico”, dato che quella legione di giovani farmacologi, neurologi, medici e psicanalisti che hanno riportato gli psichedelici sulla scena medica e scientifica, erano tutti persone che li avevano incontrati da ragazzi, andando a rave o festival, e come i protagonisti degli Interessi in comune vi avevano riconosciuto qualcosa di diverso da tutto il resto, qualcosa che per essere capito a fondo richiede l’attivazione delle categorie dello spirito. Il che ci porta a La verità su tutto (Mondadori 2022), che parla di misticismo – è la storia di una materialista che diventa una grande mistica – ma dove gli psichedelici hanno un ruolo nell’“attivazione” della protagonista, oltre al loro ruolo storico, visto quanto hanno influito sull’arrivo delle discipline orientali in Occidente dagli anni ’60 in poi. Volendo si potrebbe citare anche la mia trilogia (o meglio, dittico + prequel) fantasy, nel cui mondo gli psichedelici, sia pure trasfigurati, hanno un ruolo rilevante nel sistema magico: ne parla in modo accurato Marco Zonch in questo articolo.
Avendo trattato il tema in tutti questi libri, e avendo affiancato a questo lavoro anche molta pubblicistica – ho recensito sulla “Lettura” del “Corriere della Sera”, su “Linus” e su altre riviste svariati dei moltissimi libri, nuovi e ripescati, che hanno accompagnato in libreria il Rinascimento psichedelici, come è normale mi sono state chieste prefazioni a libri sul tema. Ho prefato Pharmako/Gnosis di Dale Pendell (Add 2021), Lo scienziato divino dello stesso Albert Hofmann (Piano B 2023), Bicycle Day di Brian Blomerth (WoM 2023) e Vita di María Sabina di Alvaro Estrada e María Sabina (Anima Mundi 2024). Da molti anni, poi, porto in giro conferenze a tema psichedelico in festival, free party e spazi sociali.
A tutto ciò andrà ad aggiungersi un e-book, ma forse è più giusto definirlo un (very) longform, che uscirà a breve per i Quanti di Einaud, il cui titolo di lavorazione, credo eloquente, è Dopo il Rinascimento psichedelico. Se infatti il Rinascimento psichedelico comincia convenzionalmente nel 2006, col primo Forum Psichedelico Mondiale di Basilea, diciotto anni dopo, con decine di studi ormai conclusi a dimostrare il potenziale terapeutico di queste sostanze[1], svariate città e stati USA che le hanno depenalizzate, e centinaia di studi in corso, si possa parlare di una fase successiva, che infatti pone nuove problematiche, quali ad esempio l’arrivo di investitori che con l’underground visionario non hanno niente a che fare, i rischi della medicalizzazione, la questione della decolonizzazione rispetto alle sostanze che rimandano a diverse culture, ecc.
C) Psichedelia e scrittura hanno un rapporto intimo che è stato esplorato in abbondanza in passato. Esistono anche esperimenti non strettamente narrativi. Basti pensare a una collezione di frammenti e brevi riflessioncine satiriche quale “Ammazzare il tempo”, in Pharmako/Poeia di Dale Pendell. Ma quali sono, a tuo parere, le opere narrative e, se vuoi, i saggi che più esemplificano il tipo della “letteratura psichedelica”?
VS) Qualche saggio lo abbiamo citato (ma chi vuole ampliare il discorso può leggere pezzi come questo e farsi la sua reading list); sulla narrativa la questione è più complessa, e se vogliamo spinosa. Se l’influenza degli psichedelici su musica, cinema, arti visuali e anche poesia è palmare, appena si arriva alla prosa, la questione si complica. Pensa a uno dei padri della psichedelia moderna, Ken Kesey, l’ammiraglio dei Merry Pranksters, quei mattacchioni che andavano in giro per villaggi con un bus tutto dipinto a somministrare LSD a chiunque gli passasse sott’occhio… Certo non un tipo poco psichedelico… Poi scrive un libro e fa Qualcuno volò sul nido del cuculo, per carità romanzo dal grande afflato libertario, ma strutturalmente normalissimo… Idem per il suo “grande romanzo”, A volte una bella pensata. Il fatto è, io credo, che la letteratura in prosa se ne fa il giusto del fulmine noetico, dell’intuizione che ribalta il tavolo e fa saltare il banco, dato che è qualcosa che si costruisce passo passo, seduti su una sterminata ziggurat fatta dei romanzi scritti prima del nostro. Per carità, esistono fior di romanzi psichedelici anche a livello strutturale – si pensi all’opera di Pynchon o, tra le cose recenti, ad Abbacinante di Mircea Cărtărescu –, ma si tratta sempre di lavori fatti a posteriori, dopo un lungo o lunghissimo processo di integrazione. Forse l’unico vero romanzo psichedelico uscito direttamente dalla prima rivoluzione psichedelica è Pesca alla trota in America di Richard Brautigan. Ah no, c’è anche Visita a Godenholm di Ernst Jünger, ispirato direttamente da un’esperienza psichedelica fatta dall’autore assieme ad Albert Hofmann, che però è più una novella che un romanzo. Esiste un pezzo molto bello di Carlo Mazza Galanti su questo tema, ne consiglio la lettura. Sta qua. Ah, visto che abbiamo citato prima il podcast Illuminismo psichedelico, c’è anche questa chiacchierata.
C) Il legame tra psichedelia e filosofia è di gran lunga meno scontato. Questo perché, come proclamava Nietzsche, la filosofia è per eccellenza l’ambito della lucidità. Mi vengono in mente, tra i contributi più recenti, una divertente raccolta di scritti intitolata Noumenautics di Peter Sjöstedt-Hughes; il brillante e a tratti folle DMT di Rick Strassman; nonché l’Oxford Handbook of Philosophy of Psychedelics. Ma è facile ricondurre questo modo di fare filosofia attraverso gli psichedelici (e non solo “su”) a illustri precursori quali William James e lo stesso Nietzsche. Qual’è, secondo te, il vero potenziale dell’incontro tra pensiero (anche critico) e psichedelia?
VS) Immagino che sia un potenziale già espresso, oltre che enorme, se è vero ciò che sostengono Albert Hofmann, Carl A.P. Ruck e R. Gordon Wasson in questo libro. Ma volendo vedere il tipo di sinergia che possono avere filosofia e psichedelia oggi, allora forse è il caso di leggere quest’altro libro. Di certo c’è solo che siamo entrati nell’era della riproducibilità tecnica dell’esperienza mistica, e dunque un filosofo che si mantenesse fuori dall’esperienza psichedelica, non starebbe facendo bene il suo lavoro, anzi sarebbe un incosciente.
C) Capita spesso di sentir definire gli psichedelici “enteogeni”, ossia letteralmente come sostanze “capaci di ingenerare il dio” in chi le assume. Trovo tale espressione semplicemente reazionaria – oltre che riduzionista dal punto di vista antropologico. Ci è capitato di parlarne in breve online ma vorrei porti la domanda in modo più approfondito: quale ritieni essere un valido antidoto materialista ai rimasugli della cultura new age?
VS) Neanche a me piace questa definizione, dato che non tutte le esperienze psichedeliche sono esperienze mistiche, e conosco anche psiconauti veterani che, pur avendo tratto di tutto dalle loro esperienze, non hanno mai incontrato il divino. Ora, a dir la verità anche psichedelico è un’espressione limitata, dato che l’effetto degli psichedelici va ben oltre il “rivelare la psiche”, ma come mi faceva notare Denise De Gouges, è anche un’espressione che ormai si giova di un amplissimo effetto di feedback, perché il termine ha definito una serie di fatti – luci psichedeliche, musica psichedelica, estetica psichedelica, ecc. – che a loro volta tornano indietro a definire ciò che intendiamo come “psichedelico”, e quindi la definizione si ritrova arricchita, e a conti fatti direi che possiamo tenercela. Non dimentichiamo che per almeno tre decenni abbiamo dovuto combattere l’ingresso nel discorso comune – attraverso il cattivo giornalismo – di “allucinogeni”, che è un termine-ombrello davvero bestiale, che raggruppa tre classi di sostanze diversissime (psichedelici, dissociativi e deliranti), vestendo il tutto di un’aura negativa … Ma di certo c’è un gran bisogno di nuove parole per questa nuova ondata psichedelica, come ebbe a scrivere Gregorio Magini in questo pezzo.
C) Qui avrebbe dovuto esserci la domanda di rito a proposito della tua routine letteraria. Ti chiedo, invece, cosa consiglieresti di leggere a riguardo, in particolare a chi volesse costruire una propria “routine psichedelica”.
VS) Penso che “psichedelico” e “routine” siano, e debbano essere, termini strutturalmente antitetici. Anche per questo ritengo il tanto chiacchierato microdosing un bluff totale.
C) Vorrei andare un po’ più sul personale. Quali sono state le tue “influenze psichedeliche” extra-letterarie (tra cinema, musica, videogiochi, giochi da tavola, sport e via dicendo)? Qual è, in breve, il tuo “best of” della psichedelia multimediale?
VS) Sulla musica psichedelica, dal rock alla psytrance passando per moltissime sperimentazioni da parte di altri generi, si potrebbe scrivere un intero libro, quindi non dico niente per non risultare riduttivo, tanto più che non sono un esperto di musica. Circa i videogiochi… sarebbe stato bello aver avuto dei videogame psichedelici, ma anche se qualche esempio esiste (Ecco the dolphin, LSD: dream emulator, Ayahuasca: kosmik journey) in fondo sono tutti giochi dimenticabili, per non dir brutti. Piuttosto propongo il listino dei migliori film psichedelici stilato a suo tempo proprio per una conferenza al Samichay festival:
1) Sedmikrásky / Le Margheritine (1966), Věra Chytilová
2) La montagna sacra (1973), Alejandro Jodorovsky
3) 2001: odissea nello spazio (1968), Stanley Kubrick
4) Enter the void (2009), Gaspar Noé
5) Paprika (2006), Satoshi Kon
6) Il serpente di fuoco (1973), Roger Corman
7) Un chien andalou (1929), Luis Buñuel
8) Paura e delirio a Las Vegas (1998), Terry Gilliam
9) Easy Rider (1969), Dennis Hopper
10) Zabriskie point (1970), Michelangelo Antonioni
11) Il colore del melograno (1968) di Sergej Paradžanov
12) Koyaanisqatsi (1982) di Godfrey Reggio
13) Belladonna of Sadness (1973) di Eiichi Yamamoto
14) Chappaqua (1966) di Conrad Rooks
15) Interstellar (2014) di Cristopher Nolan
16) Alice nel paese delle meraviglie (1951) di Geronimi, Jackson & Luske
17) Giulietta degli spiriti (1965), di Federico Fellini
18) Cremaster 1-5 (1994-2002), di Matthew Barney
19) A field in England (2013), di Ben Wheatley
20) Yellow submarine (1968), di George Dunning
21) Il pianeta selvaggio (1973), di René Laloux & Roland Topor
22) Stati di allucinazione (1980), di Ken Russell
Più due corti:
• The invasion of thunderbolt pagoda di Ira Cohen (1968)
• Lucifer rising di Kenneth Anger (1972)
C) Prima della domanda scema di chiusura vorrei fartene una più seria e contemplativa. In che modo si andranno a intrecciare, dal tuo punto di vista, psichedelia e vita digitale in futuro?
VS) Qualcuno ricorderà che Timothy Leary vedeva in Internet l’LSD del futuro. Bene, non è andata così: sappiamo bene che il sogno di un’Internet libera, che espandesse coscienze, conoscenze e connessioni in modo illimitato, è stato azzerato dal capitalismo, che ha trovato più proficuo trasformarlo in una fogna strutturata in canali chiusi, spogliati quanto possibile di contenuti validi e per di più atti a dare dipendenza. Resiste molto poco di quell’etica ormai antica, che aveva in sé molto della cultura hacker e pure qualcosa di quella cyberpunk: Wikipedia, l’Internet Archive (non a caso sotto attacco) e qualche nicchia sparsa… Adesso forse dovremmo fare un ragionamento inverso, e stare attenti che l’arrivo di mercati e investitori non facciano fare agli psichedelici la stessa fine che ha fatto Internet. Ciò detto, su questo tema ho trovato molto interessanti le riflessioni attuate da Erik Davis nel suo libro Techgnosis (NERO 2023, ma in realtà risalente al 1998).
C) L’ultima domanda è la più scema. Vorrei chiederti, pertanto, la cosa più assurda che tu abbia mai cercato su Google rispetto alla psichedelia e alle esperienze psichedeliche?
VS) A volte ricerco un video che mostra due ragazzotti americani di campagna fumare bongate di salvia divinorum 40x (ritenendola, s’intuisce, qualcosa di leggero) in un cortile innevato, con risultati grotteschi. Purtroppo non riesco a ritrovarlo, era molto divertente.
[1] a scanso di equivoci, quando si parla di psichedelici si parla generalmente di quattro molecole, strettamente imparentate negli effetti: LSD, psilocibina (principio attivo dei funghi magici), mescalina (principio attivo dei cactus peyote e San Pedro) e DMT (principio attivo del decotto amazzonico ayahuasca, presente in molte piante e nel cervello di molti animali, incluso Homo Sapiens Sapiens). Esistono altri psichedelici meno studiati (2C-B, 2C-I, 5-meo-DMT, 4-ACO-DMT, ecc.) ma ad esempio non fanno parte della categoria due “party drug” che pure mostrano promettenti usi medici, quali l’MDMA (entactogeno) e la ketamina (dissociativo).