Liminal #6 - Luigi Musolino
“Liminal” è il titolo di una serie di incontri brevi e senza fronzoli con autrici e autori, editor e case editrici che lavorano per espandere i confini della letteratura di genere e del pensiero critico e speculativo. Scopriremo insieme cosa li tiene svegli di notte (spoiler: non è solo il caffè) e cosa nutre le loro visioni da incubo, i loro sogni a occhi aperti, i vortici di complessità e i vacui abissi (spoiler: è anche il caffè).
Luigi Musolino è nato nel 1982 in provincia di Torino, dove vive e lavora, Luigi Musolino è autore di diverse raccolte di racconti di weird fiction, horror e gotico rurale. Il suo romanzo “Eredità di carne” è stato pubblicato da Acheron Books nel 2019 mentre la raccolta “Un buio diverso. Voci dai Necromilieus” è uscita per Edizioni Hypnos. Le sue storie sono state tradotte e pubblicate negli Stati Uniti, in Irlanda, Ungheria, Russia, Spagna e Sudafrica. Nel 2022 Valancourt Books ha pubblicato una selezione delle sue storie nella raccolta “A different darkness and other abominations”, finalista al World Fantasy Awards. È il curatore di Caronte, collana dedicata alla letteratura del perturbante di Zona 42 con cui nel 2021 ha pubblicato la novella Pupille.
C) Ciao Luigi, il format dell’intervista è molto semplice. Vorrei concentrarmi su due aspetti: quelli che fanno di te l’autore che sei e quelli che hanno fatto di te la persona che sei. Per iniziare, perciò, ti chiedo di presentarti a chi ci legge non in quanto autore ma in quanto persona. Chi sei quando non scrivi, gestisci Caronte (la collana horror che dirigi per Zona 42) o fai presentazioni in giro? Come passi le giornate, qual è il tuo lavoro, cosa ti piace fare, di cosa hai paura?
L) Ciao Claudio, e grazie mille per l’invito! Quando non indosso gli insanguinati (?) panni di autore/curatore di narrativa horror sono un normalissimo quarantenne nato e cresciuto nella bassa pianura della provincia di Torino, zona di nebbia, afa e zanzare, che svolge un semplice e molto orrorifico lavoro impiegatizio per pagarsi bollette e sigarette. Vivo in una casa in affitto ai piedi delle Alpi con la mia compagna, abbiamo un piccolo orto, una tettoia convertita in area barbecue e la possibilità di ritrovarci immersi nelle bellissime vallate del pinerolese in poco più di mezz’ora.
Ho una vita piuttosto semplice, costellata da numerose passioni che cerco di esercitare il più possibile, come facciamo tutti quando le incombenze del quotidiano mollano la presa e possiamo essere semplicemente noi stessi, coccolarci, vivere.
Trekking e montagna sono un punto fermo e importante; nelle lunghe camminate, anche di più giorni, magari in tenda e in condizioni non proprio comode – e possibilmente sopra i duemila metri, o comunque in regioni in cui si percepisce un senso di isolamento e solitudine – trovo un appagamento e una pace ch’è difficile spiegare a parole. Questa estate ho viaggiato per quattro giorni in totale autonomia in una regione remota del sud dell’Islanda, un trekking che sognavo da anni, in condizioni climatiche estreme, ed è stato come vivere un’avventura che immaginavi da bambino in un regno in bilico tra beatitudine e terrore. Da alcune esperienze e da alcuni luoghi non si torna mai davvero indietro, e penso che viaggiare e camminare con lentezza nella natura sia un modo importante per esplorare e scoprire misteriose geografie interiori.
Lettura, scrittura, cinema e musica occupano buona parte del mio tempo libero, sempre con un occhio di riguardo per narrazioni e sonorità oscure e fantastiche. Adoro cucinare per le persone a cui voglio bene, indugiare in viaggi lisergici e alterazioni della coscienza, bere vino, correre, fantasticare su extraterrestri, criptozoologia e leggende del folklore, trascorrere del tempo con la mia famiglia ed i miei amici, mangiare formaggi putrescenti e frattaglie, preparare pentoloni di ragù napoletano (cosa che sto facendo mentre rispondo a questa intervista), tutte attività che paiono collocarmi in uno stato mentale “giusto”, un bozzolo in cui mi sento al sicuro e a mio agio.
Ho paura di perdere la ragione e le persone care, ho paura di annoiarmi, di parlare in pubblico, talvolta di parlare da solo, detesto visceralmente i dentisti, l’arroganza, il caldo, la chiusura mentale, qualunque forma di discriminazione, chi pensa di saperne sempre più degli altri, chi pensa che l’horror sia un genere per degenerati che aggiunge bruttume alle brutture del mondo.
Da anni colleziono oggetti bizzarri per una piccola Wunderkammer che occupa una parete del mio salotto e di cui vado molto fiero. Se volete liberarvi della mummia di vostra nonna o di quella zanna di mammut che tenete in soffitta a prender polvere, non esitate a contattarmi.
C) A oggi, le cose che hai scritto esulano in parte dai canoni più tradizionali dell’horror, sia quello più letterario sia quello mainstream. Quali sono i principi e i temi cardine che dominano le tue opere? In quanto autore ed essere umano cosa vuoi ottenere entrando in contatto con il lettore?
L) Non sono certo che le mie opere esulino dai canoni dell’horror, quello che so per certo è che nel corso degli anni ho tentato di trovare una mia voce (stilistica, tematica) e che sono orgoglioso, molto orgoglioso di essere identificato come “autore horror”. Credo sia importante rivendicare l’importanza di e l’appartenenza a un genere che nel nostro paese è stato (ed è ancora) poco considerato, ritenuto frivolo, minore, incapace di dare il suo contributo al panorama letterario.
Per tornare alla tua domanda, scrivere è sempre stata un’esigenza, un modo per ragionare su quelli che sono per me aspetti oscuri e terrificanti dell’esistere. Sin da ragazzino provo piacere e appagamento nell’affrontare alcuni aspetti della condizione umana e del mio vissuto filtrandoli attraverso la lente di una narrazione orrorifica, folclorica, fantastica. E non si tratta solo di piacere e appagamento, ovviamente, ma di una necessità. Ci sono cose con cui non riesco a fare i conti, e rimuginarci su scrivendo, inventando trame e personaggi ai confini della realtà, mi aiuta appunto a prendere consapevolezza, ad accettare e a guardare con distacco e senza illusioni il fatto, chessò, che ogni cosa finirà, che di tutti noi un giorno non rimarrà nemmeno un barlume di ricordo, che verremo divorati da una malattia, che in giro ci sono persone che fanno ad altre persone cose orripilanti, tanto per fare alcuni esempi tra mille di quelle cose che mi terrorizzano e con cui non riesco a fare i conti.
Molti dei miei racconti ruotano intorno al tema del lutto o comunque al tema dell’assenza, della mancanza, della scomparsa. Nella mia vita identifico tre grandi dipartite e suppongo che una fetta importante della mia narrativa giri intorno a queste assenze, provi in qualche modo a venirci a patti.
Altri temi che penso siano il cardine delle mie storie: il senso di Vuoto che in qualche modo ci insegue e condanna, la follia e la soggettività del reale, il suicidio, l’Estraneo – in tutte le sue forme e accezioni – che irrompe nella sicurezza della nostra casa e la distrugge, le dipendenze, l’impossibilità di poter sbirciare oltre il famoso Velo, l’Antico che permane nel Presente e lo influenza, i traumi irrisolti, il caos che filtra nel quotidiano e stravolge irrimediabilmente esistenze placide e consolidate, la malattia, l’amore che si esaurisce, la caducità della carne.
Inoltre, credo che nella mia narrativa ci sia anche una sorta di ricerca del sublime, dell’orrore che diventa meraviglia, apoteosi, che trasfigura la banalità di tutti i giorni in estasi – l’attimo in cui finalmente ci scontriamo con lo smisurato e l’incomprensibile, e prima della dissoluzione assoluta e definitiva sbirciamo nella nostra fine. L’attimo che separa il nostro ultimo respiro da ciò che avviene dopo, il mistero dei misteri. Ed è ovviamente una ricerca inutile e senza soluzione.
Per quanto riguarda il mio contatto coi lettori: ci sono inferni comuni che tutti viviamo e sperimentiamo (come diciamo qui in Piemonte: “Siamo tutti nella stessa bagna”), e scrivendo di certe situazioni, terribili, angoscianti, incubiche, spero di suscitare in chi mi legge delle riflessioni, forse anche un senso di “comunione”, un pensiero del tipo “ah, c’è qualcun altro che non può fare a meno di riflettere e di avere paura di tutta questa merda”. E spero davvero di riuscire a farlo in maniera avvincente (quando leggo una buona storia dell’orrore voglio fare delle considerazioni sul reale e sull’essere umano, sì, ma anche precipitare nel mondo affrescato dall’autore, sentire le mani che sudano e l’angoscia e il cuore che accelera) ma soprattutto senza retorica, mi auguro che le cose che scrivo non vengano associate a tutti quei pipponi sull’horror come genere catartico, che ci libera dalle ansie e dalle paure interiori e dai traumi, perché per me, e sottolineo PER ME, l’horror non è mai stato questo, non è compromesso, non è esorcismo, non è liberazione. L’horror è Faccia di Cuoio che ti sfonda la testa con una mazzetta da muratore, ti trascina in una stanza buia piena di ganci da macellaio, chiude la porta e sai che non c’è scampo (se non nell’aldilà, e quell’aldilà è qualcosa di molto simile allo scantinato di Baskin).
C) Andiamo un po’ più sul tecnico. Come descriveresti Caronte a un lettore abituale di narrativa horror? Quali sono gli obiettivi editoriali e letterari che te e Giorgio Rafaelli vi siete posti? Qual è il target dei libri che avete pubblicato e che pubblicherete in futuro? Quali i parametri di selezione di titoli e degli autori/delle autrici pubblicat* finora?
L) Quando Giorgio di Zona42 mi ha proposto di diventare curatore di una nuova collana horror abbiamo discusso sull’impronta da dare a Caronte, e siamo stati concordi di non metterci troppi paletti, esplorando le molteplici declinazioni della narrativa contemporanea ponendo l’attenzione sulla qualità stilistica e l’originalità dei testi, su voci potenti, autoriali, possibilmente uniche.
Cerchiamo storie che esplorino la realtà che ci circonda da un punto di vista inconsueto, che raccontino i tempi terribili che stiamo vivendo, che parlino dell’animo umano ma anche del mondo in cui gli esseri umani si muovono, un mondo punteggiato di abissi, contraddizioni, traumi.
L’horror può aiutarci a sondare il contemporaneo, ed è spesso cartina di tornasole dei mutamenti della società, delle sue perversioni, delle paure che portano con sé i grandi cambiamenti.
Siamo partiti col botto con Il pescatore di Langan, romanzo che è già un classico e che molti lettori di fantastico attendevano nel nostro paese. Penso sia un libro straordinario, che utilizza l’orrore cosmico e topoi lovecraftiani per raccontarci una storia molto intima di perdita ed elaborazione del lutto, un romanzo con una struttura atipica che alla sua uscita nel 2016 ha ricevuto numerosi riconoscimenti e vinto premi importanti.
Come seconda uscita, come ben sai, abbiamo selezionato Siamo qui per farci male di Paula D. Ashe, autrice che al suo debutto con questa raccolta ha creato un piccolo terremoto nella community horror e vinto lo Shirley Jackson Award. Un volume completamente diverso da quello di Langan, che scava nelle ferite personali e nel torbido della società americana trascinandoci in un vortice di dolore senza soluzione, in regioni di degrado urbano in cui si muovono serial-killer, donne vittime di violenza, sette che predicano vangeli di afflizione, il tutto sorretto da uno stile unico e poetico, in cui traspare tutto l’orrore della Ashe, ma anche la sua compassione, per la tragica condizione umana.
Per il futuro di Caronte potete aspettarvi varietà, testi inconsueti, autori da noi poco conosciuti ma che meritano attenzione, e anche qualche nome grosso che non è ancora giunto in Italia. Sempre con un occhio di riguardo per la qualità dei testi e la cura delle traduzioni, com’è tipico di Zona42 – ma in Italia non è così scontato, specie quando parliamo di piccola-media editoria e narrativa di genere.
A brevissimo uscirà Qui, Altrove, romanzo del canadese Matthieu Simard, autore che non bazzica regolarmente l’horror ma che con questo testo si avventura in territori lynchiani, raccontando di una coppia che dalla città si sposta in campagna per dare nuovo slancio a un matrimonio traballante. Non troveranno un nuovo inizio, ma un villaggio ostile e silenzioso, personaggi bizzarri che li trattano con sospetto, una strana antenna che incombe minacciosa sul paese e storie inquietanti sul vecchio proprietario della casa in cui si sono trasferiti…
Per il 2024 abbiamo già selezionato alcuni titoli su cui non posso anticipare nulla, se non che si tratta di narrazioni inusuali che mi hanno stupito e turbato, e spero abbiano lo stesso effetto sui lettori di Caronte.
C) Quali sono gli autori/le autrici e le opere che più ti hanno spinto a iniziare a scrivere? A chi ti sei ispirato maggiormente a inizio carriera e negli ultimi anni?
Il mio incontro col genere che prediligo è avvenuto molto presto, perché grazie a mio padre, consumatore di libri e film dell’orrore, in casa non sono mai mancati volumi e VHS che facevano riferimento a quel tipo di immaginario. Ho un ricordo molto vivido di me bambino che sgattaiolo fuori dalla mia stanza, di notte, e spio il televisore da una fessura della porta della cucina dove mio padre sta guardando “Dawn of the Dead”. Tom Savini nei panni del motociclista viene scaraventato per terra da un’orda di zombi, che poi si fanno una bella scorpacciata con le sue budella. Ricordo anche questa mensola in salotto dove facevano bella mostra volumi di King e Barker, ed ero perseguitato e terrorizzato dalla copertina de “L’incendiaria” con Drew Barrymore bambina circondata dalle fiamme.
Sul finire degli anni ottanta la mia immaginazione si nutriva di Dylan Dog, Stephen King, Clive Barker, dei mitici Splatter del mitico Paolo Di Orazio che mi passava un vicino di casa più grandicello, i fumetti di Zio Tibia, poi sono arrivati Poe, Lovecraft, Robert Howard, Ashton Smith, Carl Jacobi, Ambrose Bierce, Hodgson, i racconti di Maupassant che adoravo e adoro (Le Horla è ancora oggi un gioiello di narrativa breve per me insuperato), Ramsey Campbell, Jack London, che dio l’abbia in gloria, Arthur Conan Doyle, Dan Simmons, Dino Buzzati, Carver, Bukowski, Asimov, Melville, Hemingway, Borges, Calvino, Orwell, Pancake, Ballard, Conrad, Kafka, Bradbury, Henry James, Shirley Jackson, Daphne Du Marier, tra i moderni sicuramente Adam Nevill, Ballingrud, Ligotti, Ketchum, Junji Ito, Laird Barron, Lindqvist… E poi amo molto leggere poesie e talvolta scriverne, torno spesso sui versi di Montale, Leopardi, Gabriele Galloni, la Dickinson, Anne Sexton, Sylvia Plath, Dylan Thomas, Beppe Salvia, Salvatore Toma, e potrei continuare così fino a diventare noioso…
Se mi chiedessi qual è il mio libro preferito probabilmente ti direi “Moby Dick” o “Cattedrale” o “I sessanta racconti” o “La casa sull’abisso”, più difficile dirti quali opere e autori mi abbiano maggiormente spinto a confrontarmi con la scrittura, immagino che tutti gli autori citati prima siano stati in qualche modo importanti… Scrivere mi è sempre piaciuto, le ore di tema in classe per me erano ore di svago e divertimento, e i primi tentativi di scrivere “storie mie” penso fossero rozzi tentativi di imitare Lovecraft, Poe, King… Ciò di cui sono certo è che ho sempre scritto nell’ambito del fantastico, dove l’immaginazione può viaggiare libera e non c’è limite alla creazione di mostri e mondi diversi dal nostro e situazioni paradossali…
Altra cosa di cui sono certo è che due autori in particolare, attraverso le loro opere, mi hanno fatto capire che potevo intraprendere una “via italica” alla narrativa del terrore, e questi due autori sono Danilo Arona ed Eraldo Baldini. Il primo mi ha spalancato nuove prospettive col suo romanzo “L’estate di Montebuio”, il secondo con “Gotico Rurale” e “Bambini, ragni e altri predatori” mi ha fatto comprendere che il nostro territorio, il folclore regionale, le storie che mi raccontavano i nonni accanto alla stufa la notte di Ognissanti sono un bacino inesauribile d’ispirazione per raccontare storie di paura ambientate nel nostro paese.
C) Quali sono le tue principali influenze extra-letterarie (tra cinema, musica, videogiochi, giochi da tavola, sport e via dicendo)?
Il cinema, come raccontavo prima, è stato probabilmente il primo mezzo che mi ha avvicinato a un certo tipo di narrazione. I film di Romero, Cronenberg, Craven, Carpenter, Yuzna, Fulci, Avati, Hooper, Raimi, Polanski sono stati compagni fedeli della mia adolescenza, e ricordo innumerevoli nottate trascorse con “Fuori Orario” di Enrico Ghezzi, che per l’epoca aveva una programmazione folle e selezionatissima (tanto per dirne una, ricordo ancora la sensazione di shock e disagio durante la visione di “Tetsuo”). Continuo a bazzicare questi territori cinematografici, cercando di star dietro il più possibile alle moltissime uscite…
Vi sono senza dubbio delle pellicole che ristagnano nella mia mente e mi influenzano a livello inconscio quando scrivo, penso a “Martyrs”, “L’inquilino del terzo piano”, “The Blair witch project”, “Lake Mungo”, “Starry Eyes”, “Alien”, “Paura nella città dei morti viventi”... Non posso fare a meno di attingere e prendere ispirazione dall’atmosfera di minaccia costante che questi film riescono a evocare: nessuno è al sicuro, non c’è via di fuga dal delirio, dalla corruzione dell’anima e del corpo, non c’è lieto fine, da un momento all’altro la normalità può precipitare nell’incubo (proprio come nella vita reale, anche se cerchiamo di non pensarci troppo…)
La musica ha nutrito e continua a nutrire il mio immaginario. I Death di Chuck Schuldiner, i Neurosis, gli Alice in Chains, gli Hypocrisy, i Sunn O))), gli Acid Bath, i Mars Volta, i Mayhem, i Nocturnus e compagnia estrema mi hanno condotto alle scuole superiori verso universi che non sapevo nemmeno esistessero, e in quegli universi continuo a perdermi e a cercare nuovi stimoli e accessi a universi ulteriori. Mi stupro quotidianamente i timpani con doom, death, sludge, black, post-qualcosa, certa techno ossessiva e oscura, ma nelle mie playlist girano anche hip-hop, indie-rock, cantautorato, e ho una sorta di ossessione per gli Ulcerate e per Rino Gaetano, ché nei suoi testi utilizzava le parole in modo strambo e bellissimo (così come gli Ulcerate).
Mi piace leggere di personaggi incredibili e controversi che nello sport hanno lasciato un’impronta, anche se lo sport in televisione lo seguo molto poco, e sono appassionato di alpinismo d’alta quota (rigorosamente da non praticante!) Seguo le vicende dei grandi alpinisti con molto interesse, c’è un’epica – talvolta tragica – nelle ascensioni in stile alpino che mi lascia sempre allibito e meravigliato. Piccoli uomini che sfidano giganti di pietra e ghiaccio ad altitudini in cui le cellule del corpo cominciano letteralmente a morire, in una ricerca che spesso trascende i limiti della materiale e del dolore per elevarsi nella spiritualità, nel divino. La narrativa e i documentari d’alpinismo mi affascinano come poche altre cose, perché al contrario di quanto si possa pensare vanno sovente al di là del semplice atto della scalata, ma indagano aspetti ben più profondi dell’animo umano.
Sono stato un videogiocatore piuttosto infognato fino ai 25-26 anni (perlopiù avventure grafiche e strategici), e la mia ultima esperienza videoludica intensa è relativa a Eve Online, un meraviglioso gioco di strategia spaziale che mi ha quasi condotto alla paranoia e all’hikikomoraggio… Dopo mi sono dato una calmata e poco a poco il mio interesse per il mondo videoludico è scemato da sé, ma ricordo con grande affetto le interminabili giornate/notti passate al PC con le retine devastate dai pixel.
C) Tra autori/autrici, spesso, ci si ritrova a confrontare le proprie routine di scrittura. C’è chi è ossessivo-compulsivo (tipo me) e deve necessariamente continuare a scrivere finché non ha chiuso il lavoro e chi, invece, ha un rapporto più pacato e riflessivo con la scrittura e impiega anche diversi anni a portare a termine un’opera (Soncini e Pei, sto guardando voi). C’è chi ha orari di lavoro predisposti e pause caffè, chi va totalmente a caso e via dicendo. Qual è la tua routine personale e come la gestisci rispetto alla vita quotidiana?
Per anni, nel mio processo di scrittura ho utilizzato il metodo “ad minchiam”, cioè nessun metodo particolare. Settimane senza scrittura alternate a full-immersion compulsive di settimane, mesi scrivendo qualche pagina tutti i giorni, periodi in cui scrivevo solo la sera/notte o la mattina presto prima di andare a lavoro… Insomma, scrivevo quando sentivo di dover scrivere, giustificando la mia impulsività e il mio disordine con quella mezza fandonia ch’è il sacro fuoco dell’ispirazione. Poi nel corso del tempo qualcosa è cambiato – e credo che a questo cambiamento abbia contribuito l’essermi appassionato alla corsa intorno ai venticinque anni e aver preparato diverse mezze maratone, una maratona, qualche trail in montagna – e ho iniziato a scrivere tutti i giorni, con costanza, poche migliaia di caratteri che ritenevo “puliti”, rifiniti, sgrossati, pubblicabili. Dico che la corsa mi ha aiutato in questo senso perché ha innescato dei processi mentali e dei ragionamenti che per me si sono rivelati utili e importanti. Se vuoi preparare una maratona da 42 km non lo fai dall’oggi al domani, ci vuole allenamento, costanza, focalizzazione sull’obiettivo. E dopo che hai corso la maratona puoi mollare e riposarti per qualche tempo, ma se vuoi che l’allenamento e l’elasticità dei muscoli permanga e magari correre una mezza maratona dopo due mesi, allora devi riprendere ad allenarti, perlomeno tre o quattro volte la settimana. Per me vale più o meno lo stesso per la scrittura, ed è questo il metodo che per me funziona. Scrivere tutti i giorni, anche poco, mi permette di essere costantemente focalizzato su quel processo, di essere allenato a giocare con le parole, di sentirmi dentro le storie che mi girano in testa e che prendono forma sulla pagina sessione dopo sessione. Posso quindi dire che la mia routine principale è quella di scrivere perlomeno 3-4000 battute al giorno, cinque/sei giorni su sette, il momento e il luogo non hanno troppa importanza, ma se posso fumare delle buone sigarette di Old Holborn giallo è meglio. Se non mi sto dedicando a un’opera in particolare cerco di scrivere dei microracconti, delle poesie, dei pensieri.
Altra routine è quella di dedicare molto tempo al processo di revisione, la fase che mi godo e apprezzo di più della scrittura, magari confrontandomi con degli editor capaci (Elena Giorgiana Mirabelli e Andrea Gibertoni, sto guardando voi) e qui sì che divento ossessivo, cercando di lavorare sul ritmo, sulle ripetizioni, sugli snodi narrativi che mi paiono poco “oliati”, revisiono e revisiono finché non mi sanguinano le pupille e sfarfallano le sinapsi, e mi diverto e sono felice.
C) Raccontaci del tuo rapporto con David Fragale, che ha illustrato diverse tue opere nel corso degli anni. Se vuoi puoi anche fargli un po’ di pubblicità, se la merita tutta.
Ho conosciuto David grazie ad alcune opere dedicate ai miei lavori che aveva pubblicato sulla sua pagina FB, ricordo in particolare delle alternative-cover per il romanzo “Eredità di Carne” e per la mia prima raccolta autopubblicata, “Bialere”. Poi ho fatto un giro sul suo profilo Deviantart e mi si è aperto il cranio. Molte delle illustrazioni, sculture ed elaborazioni fotografiche di David parevano collimare con mie immagini del subconscio, con vaghe memorie d’incubi, con le atmosfere e le aberrazioni che immaginavo scrivendo. In quel periodo stavo lavorando alla mia ultima raccolta, “Un buio diverso”, e ho provato a chiedere a David una collaborazione, un’immagine in apertura per ogni racconto del volume. Ha accolto la proposta con entusiasmo, elaborando una miriade di illustrazioni per il Buio e anche la copertina, con quella donna velata e la bocca da lampreda che rispecchia magnificamente i toni cupi e le atmosfere deliranti delle storie e della cornice che quelle storie racchiude, un libro perduto intitolato “Scienza dei Necromilieus”. Ha poi alzato l’asticella creando anche dei bellissimi booktrailer. Insomma, “Un buio diverso” è il libro che è anche grazie al suo incredibile apporto immaginifico, e per i consigli e i feedback che mi ha dato leggendo i racconti. Ci siamo poi conosciuti dal vivo a Stranimondi e ci siamo subito piaciuti (almeno, lui mi è piaciuto, spero non mi contraddirà XD )
David è un artista vulcanico e poliedrico, nonché un grande conoscitore del genere e un fine pensatore, di una modestia rara, sempre lì a sperimentare e a produrre cose fighissime in campo filmico, illustratorio, scultoreo. Abbiamo alcuni nuovi progetti insieme in fase di sviluppo e ultimamente si sta sbattendo tantissimo con l’AI creando dei video che sono cortometraggi del Perturbante eccezionali, vi invito a dare un’occhiata al suo profilo FB per rendervi conto.
Comunque, al di là delle comuni passioni e delle collaborazioni, considero David soprattutto un caro amico, e non è così facile trovare cari amici superata una certa età.
Purtroppo non abitiamo molto vicino e ci vediamo poco, ma ogni volta che ci si incrocia si sta bene e si fa nottata e i bar tremano.
C) L’ultima domanda è cazzona, ti avverto. Qual è la cosa più strana che hai cercato su un motore di ricerca mentre lavoravi a uno dei tuoi libri?
Con questa domanda si spalancano abissi. Mi limito a dire che qualche tempo fa ho chiesto a Google se “le rotoimballatrici possono rotoimballare un essere umano”. Non mi ha fornito una risposta definitiva, ma approfondendo un po’ le ricerche ho capito – cosa che avevo già subodorato, devo dire – che esistono modi migliori per trapassare.
E ora vado a cancellare la cronologia…