“Liminal” è il titolo di una serie di incontri brevi e senza fronzoli con autrici e autori, editor e case editrici che lavorano per espandere i confini della letteratura di genere e del pensiero critico e speculativo. Scopriremo insieme cosa li tiene svegli di notte (spoiler: non è solo il caffè) e cosa nutre le loro visioni da incubo, i loro sogni a occhi aperti, i vortici di complessità e i vacui abissi (spoiler: è anche il caffè).
Oggi incontriamo le tre menti dietro a “Calvario Rivista - Letteratura, mistica e pastorale”, una nuova e originalissima realtà digitale che accoglie testi narrativi e saggistici inerenti la sfera della spiritualità, la teologia e la meditazione religiosa. Quello che non sapete, forse, è che si tratta di tre autori che, da anni, contribuiscono a espandere i confini della narrativa di genere in Italia. Andiamo a conoscere loro e Calvario.
C) Ciao ragazzi. In redazione siete tre, tutti e tre autori piuttosto conosciuti. Presentatevi!
M: Che dire… …sono Marco Marra e (attualmente) vivo a Napoli, domani chissà dove. Mi piace scrivere ma di più mi piace leggere. Sono curioso e mi interesso sì di letteratura, ma anche di troppe altre robe.
G: Ciao Claudio, grazie di cuore per l’intervista, sono Gerardo Spirito e sono nato e cresciuto a Napoli. Lavoro in un settore molto distante da quello dell’editoria, leggo molto, ho scritto alcuni libri, il titolo dell’ultimo è Il libro nero della fame, edito Moscabianca.
F: Sono Francesco Corigliano. Mi occupo soprattutto di fantastico, horror e weird, e francamente non posso farne a meno.
C) L’idea dietro Calvario è assolutamente folle, da un punto di vista editoriale. Potete esporla a chi ancora non vi conosce – ma anche a chi vi conosce e non ha ancora capito una ceppa?
M: Calvario è un progetto di divulgazione culturale basata su un’idea molto chiara: tenere lo sguardo puntato verso il passato. Oggi gli occhi del panorama letterario sono spesso e volentieri fissi sull’analisi del contemporaneo e questo è necessario. Ci sembrava però altresì importante raccontare l’antico, l’arcaico, il sotterraneo. E con Calvario stiamo cercando di fare proprio questo: pubblichiamo racconti passatisti ma anche articoli di filosofia, storia, antropologia, teologia. Facciamo questo anche perché crediamo che parlare di ciò che era possa dirci anche molto su ciò che è.
G: Calvario si rivolge all’antico. Folclore, miti d’origine, agiografie. La lingua. Adoriamo le sperimentazioni linguistiche. E il dialetto. Le fiabe. Tutto ciò che porta mistero. Come il rituale. O il mistico. Personaggi fausti o arcani, portatori di veggenza. Eroi, bardi. Cantori che non hanno timore a discendere agli inferi, o a salire al Carmelo. Una storia adatta a Calvario? Quella dell’orfano che ascende la montagna impervia in cerca dell’albero della vita.
F: Partirei con le sensazioni che ho provato quando Marco e Gerardo mi hanno esposto l’idea di Calvario per propormi di entrare in redazione: stupore, vertigine, pace. Calvario è l’improvvisa riemersione dell’antico, l’indagine sulle sue dimenticate possibilità, un’esplorazione dei temi dell’assoluto. È fare i conti con una prospettiva che, consapevolmente o meno, spesso tendiamo a ignorare nel discorso culturale quotidiano. È un po’ di terra sulla superficie d’alluminio, è il polline incastrato nel vetro protettivo dello smartphone. Calvario è un discorso sull’oggi a partire da ieri, non fondato sulla nostalgia ma sull’archetipo e sull’essenziale.
C) Nelle vostre opere fate tutti e tre riferimento al folklore e ai temi della religione. Si tratta di due temi saldamente intrecciati tra loro, riassumibili (anche se solo in parte) nella “tradizione”. L’horror contemporaneo sembra aver dimenticato questo aspetto dell’esistenza umana e, quando se ne ricorda, lo fa in modo tale da porlo come qualcosa di assolutamente esterno e alieno al mondo moderno (come vediamo in Midsommar). Secondo voi perché accade questo? Potete dilungarvi…
M: Mi fa molto piacere che sia uscito fuori il titolo di Midsommar dato che, a mio avviso, è uno dei film folk-horror più riusciti degli ultimi tempi. In ogni caso credo tu abbia toccato un tema portante in quanto è proprio dall’interesse verso il folklore e la religiosità che nasce l’idea di Calvario. Si tratta di aspetti che al giorno d’oggi vengono spesso lasciati ai margini della riflessione ma che (credo) abbiano un’influenza enorme sul nostro modo di pensare. La tradizione è l’emblema della memoria collettiva, qualcosa che accompagna lo sviluppo delle società sin dagli albori ed è qualcosa che ha interessato moltissimi studiosi, da Paolo Toschi a Ernesto De Martino. Addentrandoci nella riflessione riguardo la religione e la religiosità rischiamo di impegolarci, volente o nolente, in una discussione troppo spesso radicalizzata o semplificata o prosciugata di tutte quelle sfumature che ne determinano il fascino. Molti studiosi ritengono che il “senso religioso” sia ciò che ha determinato il passaggio – i lettori mi perdoneranno l’estrema semplificazione – che ci ha resi ciò che siamo, che abbiamo smesso di “essere scimmie” quando abbiamo iniziato a ritualizzare la morte, a seppellire chi lascia questo mondo. La religione e il folklore – che, come dicevi, sono argomenti che spesso s’intrecciano e si sovrappongono – sono elementi permeanti della storia e la letteratura, intesa come racconto di ciò che è umano, non può esimersi dal fare la propria parte. Credo che per alcuni anni ci sia stato una forma di rigetto da parte di alcuni ambiti letterari verso queste considerazioni ma che da alcuni anni questo trend, come individuato da qualcuno, stia cambiando. Credo ci sia un interesse di ritorno verso alcune credenze e che in certi ambienti si stia sviluppando un nuovo approccio nei confronti di tutto ciò, un approccio meno aprioristico e questo, credo, sia un gran bene.
G: Credo che il problema maggiore sia quello di voler classificare a ogni costo sotto determinati generi autori e libri. Mi rendo conto che la necessità è data dal mercato. Però esistono innumerevoli tesori nascosti che attingono a piene mani alla “tradizione”. Libri che a mio parere sono molto più orrifici dei più conosciuti romanzi e racconti dell’orrore. Berto, Bufalino, Krasznahorkai, O’Connor, per fare alcuni esempi. Mi sono imbattuto nell’orrore in libri impensabili.
F: La proposta di Calvario si contrappone, secondo me, al problema nel rapporto tra horror e antichità.
La rivista vuole affrontare temi, quali il folklore e il sacro, che la cultura contemporanea tende a bollare come passati e “risolti”. Normalmente l’horror approfitta proprio degli elementi “risolti” di un contesto socioculturale, facendoli riemergere come ancora vivi e pericolosi, e perciò in realtà “irrisolti”. Da qui le solite storie sull’antico culto che continua a fare sacrifici umani, oppure sulla divinità sepolta pagana sotto il bosco, e così via.
Il punto è che il sacro non è mai davvero “risolto” o “irrisolto”. Ostinarsi a trattarlo come una faccenda esotica, appartenente a un passato di cui ci siamo sbarazzati e che al massimo può riemergere in qualche macabro giochino intellettuale, è un’operazione che rischia di sfociare nel banale; e questo ci dice più su noi stessi, che sul sacro in sé.
C) In che modo la religione e la spiritualità plasmano le idee e i valori alla base non solo di Calvario ma delle vostre stesse opere?
M: Posso dire, a titolo personale, di essere profondamente affascinato dalla religione, sia per quanto riguarda i suoi aspetti prettamente folclorici e ritualistici, sia per quanto concerne quello prettamente spirituale. La religione, per certi versi, è un tentativo di rispondere alle domande fondamentali e trovo che la società odierna, materialista e consumista, abbia messo questa ricerca sin troppo da parte. Calvario è il monte dove Gesù venne crocifisso ma è anche una parola che indica, in senso figurativo, una grande sofferenza, una tribolazione, un dolore. Questo porta a riflettere non solo sullo stretto legame esistente tra la lingua – intesa come entità non-statica – e la storia, ma anche sul rapporto tra trascendente e immanente.
G: Quando insieme a Marco e poi successivamente Francesco abbiamo deciso di cominciare questo percorso con Calvario, l’intenzione era quella di imporre nella rivista i nostri temi e le nostre letture. Anche perché in questo modo è più difficile disperdere motivazioni. È corretto quando dici che gli argomenti di Calvario e della nostra letteratura sono in parte sovrapponibili, non può essere altrimenti. Personalmente, soprattutto nell’ultimo periodo, ho maturato un’ossessione per l’agiografia e una certa letteratura dialettale napoletana seicentesca – autori quali Giulio Cesare Cortese, Giambattista Valentino, Filippo Sgruttendio – le cui visioni, e linguaggi, sto tentando di riversare nei miei scritti ancora inediti.
F: Per me la religione e la spiritualità sono cose con cui, prima o poi, bisogna fare i conti. Nei miei racconti l’aspetto macabro o violento può anche dipendere da un elemento legato alla sacralità, ma questo rapporto di causalità non vuole dare una valutazione morale sul sacro stesso. Alla fine delle storie cerco di dire: “l’assoluto è l’assoluto, che ti piaccia o meno”. Certe cose sono, e basta, e le conseguenze della loro esistenza possono essere umanamente percepite come positive o negative, senza dire davvero nulla sulla loro origine. Credo che questo concetto si accordi bene con l’iniziativa di Calvario, che vuole affrontare il mitico e l’originario senza filtri, come un palcoscenico che non ha bisogno di precauzioni o abbellimenti.
C) Quale pensate possa essere il futuro delle riviste online? C’è stata una forte decrescita rispetto ai trend degli ultimi anni, eppure il formato sembra voler resistere nelle sue forme più weird e primordiali (dalla rivista iperspecializzata ai blog, dai journal alle newsletter).
M: Sì, effettivamente pare che a fronte della forte crescita negli ultimi anni ora si stia andando verso uno stallo. È una questione articolata e complessa. Io credo che ciò di cui parli – la sopravvivenza di specifiche forme – sia legato alla necessità delle riviste di ritagliarsi il proprio spazio in un coacervo di offerta. È un discorso – con le dovute distinzioni – simile a quello che può essere fatto riguardo l’exploit delle micro e piccole case editrici. Forse in maniera ancora più marcata rispetto all’esempio di sopra, sembra quasi che ci siano più riviste letterarie che lettori di riviste letterarie (in realtà purtroppo spesso i fruitori di queste sono solo addetti ai lavori o aspiranti tali). Da qui la necessità, per sopravvivere, di trovare la propria nicchia e questo può essere fatto solo se effettivamente si ha qualcosa da dire. Troppo spesso le riviste letterarie vengono viste dagli scrittori esclusivamente come un mezzo per farsi conoscere, e lo sono! …ma sono anche molto di più. Sono uno strumento, una verga da rabdomante per certi versi, in grando di anticipare individuare delineare nuovi filoni, nuovi sguardi, nuovi indirizzi. Sono anche, e noi di Calvario cerchiamo di esserlo, un laboratorio di ricerca linguistica, un luogo dove si riflette sulla forma oltreché sul contenuto. Un terreno di sperimentazione e proposta di tentativi linguistici che troverebbero poco spazio altrove. In quest’ottica, diversi testi che abbiamo presentato conservano la struttura elegiaca o del canto (ad esempio il brano “Le voci cattive” di Livio Santoro), lo stilema della fabula (“E di porpora sarebbe annegato ancora” di Arianna Cislacchi), sono scritti in dialetto o cercano di portare “su carta” tratti distintivi e costrutti della lingua parlata, di vernacolari semi-estinti (“Mahare” di Veronica Pennisi).
G: Credo che il ciclo nascita-morte di una rivista sia inevitabile e forse anche opportuno. Anche se come hai detto tu ci sono delle realtà – soprattutto online – che resistono e credo resisteranno ancora per lungo tempo. La risposta su Calvario è stata molto positiva, abbiamo incontrato autori davvero formidabili e altrettanti giovanissimi con una maturità e consapevolezza linguistica affascinante – qui permettimi di citarne alcuni: Emma Mattiussi, Sarah Manciocchi Robak, Giorgia Distefano, Letizia Rigotto, Matteo Branduardi. La sopravvivenza di una rivista passa anche dalle proposte, e noi fino a oggi possiamo ritenerci più che soddisfatti.
F: Credo che le riviste online senza identità rischino di diventare una semplice piattaforma di pubblicazione. Si scrive un testo, si valuta quali riviste vanno in quel momento, e lo si invia. Come va, va; l’importate è che quel testo appaia da qualche parte, così che nei 2-3 giorni seguenti lo si legga e se ne parli. Poi finisce lì. Al massimo quella collaborazione finisce nelle biografie per la prossima pubblicazione.
Non voglio dire che questo sistema sia giusto o sbagliato in sé. Voglio dire che non è sostenibile a lungo termine. La letteratura non può adeguarsi ai ritmi degli altri mezzi di fruizione culturale contemporanea, semplicemente perché si basa su presupposti diversi. Se continui a creare calderoni in cui buttare testi diversissimi tra loro, con un’utenza che arriva non per il calderone in sé, ma per l’ingrediente che è finito dentro in quel dato momento, prima o poi dovrai cambiare calderone.
Per questo credo che servano riviste con identità precise, alle quali un lettore possa tornare per ritrovare quel tipo di sensazione, stimolo o atmosfera di cui ha bisogno.
C) Per la prima volta mi vedo costretto a saltare la domanda di rito sulle routine di scrittura. Però, in cambio, posso pur sempre chiedervi come facciate a gestire una rivista così ben fatta in sole tre persone.
M: Gerardo e Francesco non solo sono degli scrittori incredibili e dei profondi appassionati di letteratura, ma sono anche e soprattutto degli amici e questo rende tutto molto più agevole. C’è stato molta pianificazione e abbiamo lavorato sodo per definire ogni minimo dettaglio prima del lancio di Calvario. Inoltre, ci sentiamo spesso e ci suddividiamo il da farsi anche sulla base dei nostri impegni personali, senza essere troppo rigidi.
G: Con calma e organizzazione. È davvero facile lavorare con Marco e Francesco. Sono due persone serie e oneste. Valutiamo tutto ciò che arriva in redazione senza fretta, ma con attenta curiosità. È qualcosa che ci siamo detti fin dall’inizio.
F: Normalmente ci dividiamo in tre il lavoro di lettura ed editing, ma Marco e Gerardo sono i veri pilastri di Calvario. Sono attivissimi non solo nella cura materiale della rivista e nella valutazione dei testi, ma anche nello scouting. Hanno una dedizione e una passione contagiose, che personalmente trovo stimolanti non solo nel lavoro sulla rivista stessa ma anche in ambito creativo. Con questo clima è facile continuare a gestire tutto quanto.
C) Se doveste costruire un Calvario-universo quali sarebbero i libri, i film, i videogiochi, i giochi da tavolo e gli album musicali che andrebbero a comporlo?
M: Molto difficile rispondere a una domanda di questo tipo. Per risponderti, cercherò di seguire un flusso e fare un elenco sparso delle prime cose che mi vengono in mente: gli apocrifi, l’Orlando Furioso, la Bibbia, il Corano, The VVitch, Hieronymus Bosch, la teoria degli antichi astronauti, Pieter Bruegel il Vecchio, Le crociate, Tre visioni di Giuda, La stregoneria attraverso i secoli, Dungeons & Dragons, Il libro dei prodigi, il Corpus Hermeticum, la musica senza nome che fa da sottofondo alle notti mediorientali. Ci ho messo dentro anche un concetto epistemologico e un paio di pittori, spero vada bene lo stesso.
G: Direi una tra le Apocalissi apocrife, forse quella di Pietro, con tutti i suoi simbolismi e i suoi falsi insegnamenti, oppure la Filocalia dei Padri neptici, o Il racconto dei racconti di Basile, l’Oga Magoga di Occhiato, o qualche opera saggistica di Camporesi o De Martino, o Atzeni, Darvasi; musicalmente, L’oro del Reno di Wagner, o la Mazepa di Tchaikovskij; film: forse I giorni del cielo di Malick, o Il peccato di Koncalovskij.
F: La Bibbia e La navigazione di san Brandano. Il cavallo di Torino e Picnic a Hanging Rock. Dark Souls e Blasphemous. Sagrada. Station dei Russian Circles.
C) Eccoci alla domanda scema. Vi sono arrivate proposte di pubblicazioni totalmente pazzoidi e impubblicabili?
M: Questa è una domanda fortissima. Bhé, sì! Calvario ha un’identità molto precisa – pubblichiamo racconti privi di riferimenti al contemporaneo – ma nonostante questo spesso ci arrivano testi totalmente avulsi da questo parametro. Devo dire che, per scelta, facciamo una selezione molto attenta e pubblichiamo esclusivamente i testi che ci convincono al 100% (e in ogni caso ci lavoriamo insieme all’autore). Se abbiamo anche una minima perplessità preferiamo evitare di presentare il brano. In realtà le proposte pazzoidi ci piacciono e se lo stile ci convince siamo più che felici di ospitarle. Abbiamo pubblicato rifacimenti di passaggi biblici, frammenti di pseudobiblion (“Frammento di Ordamoris” di Silvia Tebaldi), rielaborazioni di vite di asceti (“Tutto è definitivo” di Andrea Iannone), esercizi linguistici e di destrutturazione narrativa. Insomma, ci divertiamo.
G: Qualche testo particolare è arrivato in redazione. Alcuni scritti però, seppur ottimi, abbiamo dovuto respingerli perché in contrasto con la linea editoriale della rivista. Ma l’esperienza fino a oggi è stata più che positiva e stimolante.
F: Assolutamente sì. Per quelle abbiamo una versione cartacea di Calvario, un volume unico che verrà pubblicato il giorno prima dell’Apocalisse.
Ma che bella intervista 🖤