“Liminal” è il titolo di una serie di incontri brevi e senza fronzoli con autrici e autori, editor e case editrici che lavorano per espandere i confini della letteratura di genere e del pensiero critico e speculativo. Scopriremo insieme cosa li tiene svegli di notte (spoiler: non è solo il caffè) e cosa nutre le loro visioni da incubo, i loro sogni a occhi aperti, i vortici di complessità e i vacui abissi (spoiler: è anche il caffè).
Claudia Boscolo è laureata in Lettere all'Università di Trento e dottore di ricerca in Italian Studies alla Royal Holloway University of London. Si occupa principalmente di filologia e critica letteraria. Fra i volumi più più recenti ha pubblicato "La tempesta e l'orso" (Industria&Letteratura, 2024), e"L’Entrée d’Espagne. Context and Authorship at the Origins of the Italian Chivalric Epic" (Oxford – Medium Aevum, 2017). Ha curato la raccolta di saggi "Scritture di resistenza. Sguardi politici dalla narrativa italiana contemporanea" (con Stefano Jossa, Carocci, 2014). Insegna Lettere nei licei della Provincia Autonoma di Trento e collabora con varie riviste e quotidiani. Coordina la redazione del sito Ibridamenti.
C) Ciao Claudia. Ormai è prassi iniziare con una domanda un po’ particolare ma che credo troverai meno strana di altr*, non essendo tu un’autrice “di mestiere” (anche se di certo una tra le più professionali nel settore). Ti chiedo di presentarti al pubblico non come critica letteraria accademica o scrittrice ma come persona: chi sei, cosa fai nella vita, cosa ti piace fare?
CB) Ciao Claudio, grazie per avermi accolta in questa tua rubrica. Potrei risponderti che mi piace molto dormire, che è la verità, ma per non sembrare troppo pigra e noiosa, aggiungerò che una delle cose che amo di più nella vita è cucinare. Per me la cucina è senza dubbio una pratica zen, ed è anche il momento in cui mi vengono in mente le idee migliori. Cucino di solito molto lentamente, con ingredienti freschi che associo a seconda del momento e senza seguire ricette. Ovviamente amo leggere, e trattandosi di una attività che occupa molto tempo, non me ne rimane granché per fare altro. Un’altra cosa che amo molto è passeggiare nel bosco; più che affrontare escursioni estenuanti, mi piace proprio starci dentro, camminare lentamente e fermarmi a osservare le piante, sentire gli odori e assorbire i colori. Sono abbastanza selvatica, sto male in città, nel traffico. Sono molto permeabile agli ambienti, per cui la confusione della città influisce in modo negativo sul mio stato d’animo. Preferisco la solitudine, i luoghi silenziosi e isolati.
C) Sei un’autrice con un solido background nella storia della letteratura e nella critica letteraria, nonché con un passato da ricercatrice accademica. In che modo questo ha influenzato la tua ricezione e fruizione della letteratura contemporanea e della scrittura?
CB) Purtroppo il retroterra accademico può essere una maledizione. Affronto ogni testo con un occhio estremamente critico, che spesso mi impedisce di godere della semplice lettura. Tendo ad analizzare i testi, e di rado ne trovo che mi colpiscono per originalità e stile. Spesso la narrativa contemporanea è ripetitiva, e ciò è dovuto a un mercato intasato di novità, si ripetono anche errori grossolani di impostazione, e quindi spesso abbandono i testi dopo poche pagine, se già l’incipit non mi convince è raro che prosegua nella lettura. Cerco soprattutto scritture che mi sorprendano, che contengano qualche tipo di novità, sia stilistica sia tematica. Nonostante la mia specializzazione da medievista, nutro per la contemporaneità un interesse totale: mi attrae tutto ciò che è nuovo, mi interesso di tutto e accolgo ogni novità con gioia. Non è detto che tutto ciò che è nuovo sia interessante, ma non ho alcun pregiudizio e quindi cerco di formarmi una idea precisa di ciò che sto esplorando prima di decidere se mi interessa oppure no.
C) Questa è difficile, direi più per la “te critica”, oltre che autrice. Ci è capitato spesso di parlare dello stato di salute della letteratura e del pensiero critico contemporanei in Italia. Ti chiederei, pertanto, quali sono, a tuo parere, i fattori che contribuiscono a marginalizzare la letteratura contemporanea italiana rispetto a quella straniera.
CB) Contrariamente a ciò che si sente dire con una certa frequenza, io credo che le scritture contemporanee in Italia lascino trasparire una certa vivacità, anche in confronto a ciò che accade in altri paesi europei e negli Stati Uniti. Si tratta di una vivacità che emerge soprattutto nelle nicchie, e che va ricercata nella produzione cosiddetta minore, in narrativa e in poesia. Vi è un interesse per la sperimentazione che, secondo me, deriva da un desiderio di aggredire un reale opprimente. Questo è un paese asfittico, dove non succede nulla che non sia deleterio per ogni aspetto della società. È un paese che non ama le giovani generazioni, che ripete schemi sempre uguali, quindi credo che la scrittura funzioni un po’ da valvola di sfogo, e che intercetti movimenti carsici, desideri, che forse in altre società più libere sono appagati con maggiore facilità. Questo, a parer mio naturalmente, genera testi spesso ricchi di immaginazione. Da qui il problema della marginalità: la migliore produzione contemporanea italiana è spesso intraducibile e quindi non tradotta, per cui l’immagine della nostra letteratura che arriva all’estero è un po’ da cartolina. Mi capita spesso di vedere i testi italiani tradotti che si danno in lettura nei dipartimenti di italiano all’estero, sono sempre romanzi mainstream, e mi viene un po’ di malinconia, perché so per certo che qui si fanno anche cose molto interessanti, ma che restano confinate in ambienti ristretti. Per quanto riguarda invece la marginalità interna della narrativa italiana, cioè il fatto che in Italia c’è un’esterofilia pronunciata, credo che la responsabilità sia della filiera editoriale più che degli autori e delle autrici. Di opere interessanti italiane ce ne sarebbero molte, ma si trovano a competere con i titoli esteri su cui si fa molto marketing, mentre come sappiamo la promozione dei titoli italiani lascia parecchio a desiderare e più che altro bisogna andarseli a cercare e affidarsi al passaparola.
C) Quali sono le autrici e gli autori che, secondo te, portano avanti un discorso di complessità, profondità e qualità stilistica oggi nel nostro paese?
CB) Qui bisogna fare il dovuto distinguo fra chi si muove nel sottobosco della produzione indipendente e chi invece è baciato dalla luce della grande editoria. Personalmente leggo entrambi, e fra i nomi più noti seguo dagli esordi la scrittura e le tematiche di Helena Janeczek, Francesca Melandri, Tommaso Pincio, Tiziano Scarpa, Wu Ming, Niccolò Ammaniti, Silvia Ballestra, per citare i più grossi. Di molti di questi nomi mi sono occupata in sede critica. Sono per così dire gli autori e le autrici della mia generazione, quelli che seguivo quando ero studentessa universitaria e a cui sono affezionata. Ogni loro novità editoriale per me è una bella notizia, che magari non leggo subito, a volte lascio passare il momento del lancio, ma leggo tutto con la calma con cui si dovrebbero trattare i classici. In generale detesto la lettura usa e getta, un titolo vive nella mia testa per mesi prima che io decida di affrontarlo, e quando lo faccio si tratta sempre di una lettura impegnata e consapevole. Un’altra autrice che è entrata nella mia zona preferiti negli ultimi anni è Laura Pariani, il cui lavoro sulla lingua italiana e sui suoi temi è straordinario. Per quanto riguarda invece la produzione indipendente, mi attirano molto la fantascienza e il fantastico italiano, i nomi sono parecchi, e come sai sono una tua lettrice per cui ti citerei per primo. Trovo molto interessante la prosa di Marco Malvestio, raffinato artefice di atmosfere weird, e Emanuela Cocco che mi sembra destinata a sfornare presto qualcosa di molto rilevante. In genere la scuderia di Zona 42 mi sembra ottima, citerei anche Alessandro Vietti e Silvia Tebaldi. Inoltre, leggo parecchi ibridi, per cui sulle scritture di questo tipo ho sempre le antenne alzate. Il lavoro di Matteo Meschiari ha aperto strade importanti, e ultimamente Elisa Veronesi ha importato dalla Francia il concetto di ecobiografia, che mi sembra fondamentale per leggere questa epoca. Come dicevo sopra, c’è una grande vivacità nella piccola e media editoria e negli ambienti indipendenti che andrebbe valorizzata, bisognerebbe parlarne molto di più.
C) Il tuo ultimo lavoro, “La tempesta e l’orso” (Industria e letteratura, 2024), è una novella che affronta tematiche molto complesse, dal rapporto tra essere umano e wilderness all’animalità, fino ad arrivare all’aspetto più “meta” della possibilità umana di raccontare l’animale selvatico. So che si è trattato anche di un percorso ricco di ricadute affettive e personali, dato che vivi proprio nel territorio in cui è ambientata la storia. Puoi dirmi di più a riguardo?
CB) Si tratta per l’appunto di un ibrido fra narrativa, reportage e saggistica. Ho iniziato a scriverlo come conseguenza del mio tentativo di dare un senso alla trasformazione che la tempesta Vaia ha impresso sui luoghi in cui vivo. Avevo raccolto molto materiale nei mesi successivi all’evento, e non sapevo che farmene; ho quindi deciso di tentare una via per me insolita, ovvero distaccarmi dalla scrittura accademica e avventurarmi in quella narrativa. Subito dopo la tempesta ho avuto il posto di ruolo in una scuola lontanissima da casa, proprio nel territorio in cui è stato reinserito l’orso. Con i trasporti – non guido – attraversavo chilometri e chilometri di zone boschive, e ho potuto vedere la progressiva azione del bostrico dopo la tempesta. È come se a un certo punto l’ambiente che ero abituata, come tutti, a dare un po’ per scontato, si stesse disintegrando in modo irreversibile e questo senso di ineluttabilità ha agito in qualche modo sul mio immaginario. Sono sempre stata una ambientalista e animalista militante, ma prima della tempesta lo ero in modo quasi inconsapevole, cioè per me è sempre stato naturale condannare le declinazioni più deleterie del capitalismo, l’estrazionismo animale e vegetale. Quando ho visto con i miei occhi il tappeto di alberi dopo gli schianti causati dalla tempesta ho subito una sorta di shock cognitivo, che mi ha portata a ripensare radicalmente il mio approccio. La tempesta ha coinciso con la campagna mediatica anti-orso della provincia, e di lì a poco ci si è messa pure la pandemia. Questa contingenza particolarmente drammatica ha acceso in me un desiderio di raccontare, in una forma accessibile a tutti, un angolo di mondo dove accadono cose paradigmatiche e che in sostanza sintetizzano tutto il marciume del neoliberismo.
C) Quali sono le autrici e gli autori che ti hanno più influenzato?
CB) Questa è facile. L’autore che mi ha fulminata e che all’inizio ho persino tentato di imitare è Andri Snær Magnason. Il suo Il tempo e l'acqua, edito nel 2020 da Iperborea, è stato il testo che ha acceso in me il desiderio di raccontare la storia intrecciata della tempesta e dell’orso. Per quanto io possa dichiarare molti modelli, tutti molto impegnativi – ad esempio, Kim Stanley Robinson, Cormac McCarthy, Octavia Butler, Don DeLillo – nessun altro autore ha avuto, nella stesura di questo libretto, una importanza paragonabile a quella di Magnason.
C) Quali sono le tue influenze extra-letterarie (tra cinema, musica, videogiochi, giochi da tavola, sport e via dicendo)?
CB) Sicuramente il cinema, anche nella sua declinazione più deteriore, ovvero le serie TV, che sono universalmente considerate la morte del cinema e che invece su di me producono un effetto molto positivo. Provengo da un passato di spettatrice molto esigente e colta (mia madre è laureata in storia del cinema su Chaplin e mi ha propinato visioni molto impegnative fin da bambina). Invece oggi mi piacciono le produzioni più commerciali, più spettacolari, amo soprattutto la fantascienza. Una grande influenza su di me ce l’hanno anche le arti figurative, che vengono di rado citate eppure i linguaggi dell’arte hanno spesso dialogato con quelli della letteratura. Anzi, più che la musica, che pure occupa una parte importante nella mia vita, sul mio immaginario esercita una funzione molto specifica la pittura, tutti i tipi di pittura, dalla miniatura, ai grandi cicli di affreschi, alla pittura contemporanea. L’immagine in generale è per me un veicolo fondamentale di narrazione.
C) L’ultima domanda seria riguarda la tua routine di scrittura. Come riesci a gestire lavoro, vita familiare, hobby e scrittura? Utilizzi tecniche particolari? Che strumenti prediligi (carta e penna, pc, macchina da scrivere)?
CB) La scrittura per me è un lavoro. Mi sono organizzata in modo da avere almeno tre giorni alla settimana da dedicare alla scrittura. Sono piuttosto metodica, ma siccome continuo a scrivere cose accademiche nonostante non lavori più da anni dentro l’università, quello che faccio non ha alcuna visibilità immediata. In realtà lavoro molto, solo che quello che faccio non si vede. Cerco di terminare entro le quattro del pomeriggio, perché poi il mio tempo lo dedico alla famiglia. Mi alzo molto presto al mattino, quindi la sera sono stanca, e preferisco leggere. Scrivo poco ma in modo molto mirato, mi fisso una quantità di testo che devo concludere entro un tempo che stabilisco e non mi alzo dalla sedia fino a quando non ho prodotto il numero di battute che ho stabilito. Ho una grande capacità di concentrazione, quindi quando entro dentro ciò che voglio scrivere, non mi lascio distrarre da nulla. In fondo, scrivo pochissime ore in confronto a chi lo fa per mestiere, e la cosa non mi disturba per nulla. Non sono una scrittrice, sono più che altro una studiosa, per cui spesso la mia scrittura consiste nel prendere appunti dai libri che sto leggendo. In ogni caso, produco una marea di materiale che poi non mi preoccupo di pubblicare, perché non mi piacciono le dinamiche editoriali. Quando non sono seduta al computer, e quindi non sto di fatto lavorando, scrivo sul telefono; ho scritto articoli interi sul cellulare, ovunque, in treno, al bar, a scuola nell’ora buca. Di solito edito questi materiali in un secondo momento, quando torno al PC. Quello che invece non faccio più, e me ne rammarico, è scrivere a penna sui quadernini. Era una cosa che amavo molto fare da giovane, ma adesso mi sembra poco pratico.
C) Siamo alla domanda scema. So che sei molto addentro ai gusti e agli hobby di tuo figlio. Cosa hai scoperto e imparato? Sono sicuro che sia un vero e proprio tesoro di informazioni.
CB) È una domanda tutt’altro che scema! Imparo sempre molto da mio figlio, quasi più di quanto lui impari da me. Si interessa di videogiochi e quindi mi tiene aggiornata su tutte le novità che scopre da solo. Presto molta attenzione al modo in cui commenta i fenomeni della sua contemporaneità, perché coglie sempre aspetti che io da adulta, con una formazione molto rigida, non vedo. Ho scoperto da lui, ad esempio, che i bambini sono individui con caratteristiche molto personali e che devono essere lasciati liberi di decidere come vogliono trascorre il proprio tempo extra-scolastico. Per deformazione professionale, ho sempre tentato di indirizzare mio figlio verso cose che mi sembravano importanti – la competizione sportiva, la formazione musicale, la lettura – invece constato che alcuni bambini provano forte disagio durante le gare sportive e che spesso ci vanno solo perché costretti dai genitori. L’interesse per la musica non è scontato, molti amici di mio figlio hanno abbandonato il percorso musicale perché semplicemente non gli interessava, nonostante la famiglia li incoraggiasse. Sono felice che lui ami il suo strumento musicale, ma se fosse andata diversamente non sarebbe stato un problema. L’unico grande problema dei bambini è costituito dalle aspettative che gli adulti proiettano su di loro. Quindi quando mio figlio si ammazza dalle risate guardando i suoi youtuber preferiti che commentano meme per me incomprensibili o i gameplay, cosa che fino a qualche anno fa mi avrebbe raggelata, ora voglio sapere perché la cosa lo fa tanto ridere, e trovo tutto molto innocuo e divertente. Mio figlio è un grande chiacchierone, la cosa che ama di più è raccontare quello che guarda o che legge, quindi mi trovo spesso in mezzo a trame di manga o di videogiochi di cui capisco forse un 20%. A volte la sera guardiamo reel di gattini e animaletti vari su Instagram, una cosa talmente scema che me ne vergogno, ma allegria, affettività, vicinanza sono componenti fondamentali dello sviluppo psico-fisico di un bambino. In linea di massima trovo il mondo contemporaneo al contempo assurdo, violento, esilarante e tragico; i bambini stanno dentro questa atmosfera schizofrenica, in cui convivono il capitalismo più becero e deleterio e il grado massimo di inclusione ed empatia che sia mai visto, la dominano, non ne sono affatto sconvolti quanto gli adulti. Credo che il rapporto con un bambino rappresenti un’occasione importante di apprendimento per un adulto, e che vada vissuta senza alzare barriere basate su un’idea falsata dei ruoli.
Che bella Intervista. E grazie Claudia!